Scrittore italiano. Di nobile famiglia piemontese,
compì gli studi presso la Reale Accademia di Torino, uscendone con il
grado di portainsegna nel reggimento provinciale di Asti (1766). Viaggiò
a lungo attraverso l'Europa visitando la Francia, l'Inghilterra, la Germania,
l'Olanda, il Portogallo; si dedicò inoltre alla lettura degli illuministi
francesi, di Machiavelli e Plutarco. Nel 1775 scoprì quasi per caso la
sua vocazione poetica, quando si mise a comporre alcuni versi, che avrebbero
costituito la sua prima tragedia,
Cleopatra. L'opera venne rappresentata
al teatro Carignano di Torino e riscosse un notevole successo. Tra il 1775 e il
1789
A. scrisse altre venti tragedie:
Filippo, Polinice, Antigone,
Virginia, Agamennone, Oreste, La congiura de' Pazzi, Don Garzia, Maria Stuarda,
Rosmunda, Ottavia, Timoleone, Merope, Saul, Agide, Sofonisba, Mirra, Bruto I,
Bruto II, Alceste II. Visto che in Piemonte a quei tempi si parlava quasi
soltanto il francese e il dialetto, lo scrittore si trasferì in Toscana
per approfondire lo studio della lingua italiana. A Firenze nel 1777 conobbe
Luisa Stolberg, moglie di Carlo Edoardo Stuart, conte di Albany. Quando lei si
separò dal marito
A. abbandonò definitivamente il Piemonte
e i due soggiornarono insieme tra Firenze, Roma e Pisa. Dopo il 1785 fu in
Alsazia, a Colmar e a Parigi, da cui scappò nel 1792 per timore dei
rivoluzionari. Morì a Firenze l'8 ottobre 1803. Fu sepolto in Santa Croce
e Canova scolpì il suo monumento funebre per desiderio della contessa
d'Albany. ║
Opere: la prima opera di
A. fu l'
Esquisse de
jugement universal composta fra il 1773 e il 1775. Seguirono i
Giornali redatti in francese tra il 1774 e il 1775 e poi ripresi in
italiano nel 1777, una sorta di diario che testimonia l'evoluzione dell'autore.
Accingendosi a scrivere le opere teatrali
A. si trovò di fronte da
un lato alla produzione melodrammatica di Metastasio, dall'altro alla tradizione
del teatro francese di indagine psicologica, modelli che egli rifiutò in
nome di una nuova tragedia, incentrata su pochi protagonisti, con l'eliminazione
di tutti i personaggi secondari. Una tragedia nuova per la quale adottò
uno stile molto personale e creò, con l'impiego dell'endecasillabo, ritmi
intensi e spezzati spesso di difficile lettura, contrapposti alla facile
musicalità arcadica. Della tragedia classica mantenne però la
partizione in cinque atti e la fedeltà alle unità aristoteliche.
Le tragedie hanno al centro personaggi del mito e della storia; in esse il
dramma è svolto soprattutto nell'animo dei personaggi. La libertà
che essi cercano non corrisponde a nessuna istituzione politica ma è
libertà interiore. Nell'opera
Filippo (1775) viene analizzato lo
stato di isolamento del principe derivante dalle leggi della politica, le quali
impongono ai potenti un tragico distacco da ogni dolcezza terrena. In
Polinice (1775), viene posto in primo piano il prezzo da pagare per la
conquista del potere, mentre in
Antigone (1776)
A. riflette sul
rapporto tra oppressore e oppresso e sull'impossibilità per quest'ultimo
di ribellarsi se non pagando con la vita. Le tragedie
Virginia (1777),
La congiura de' pazzi (1777),
Timoleone (1779) trattano ancora il
problema della libertà. Nella prima, ispirata a Livio, l'aristocrazia,
arrendevole nei confronti della tirannide, si contrappone alla plebe, animata da
nobili ideali di libertà; nella seconda, il rapporto eroe-tiranno
è analizzato come un conflitto di personalità di pari forza; la
terza è ispirata a Seneca. Le opere
Merope e
Saul fanno
registrare una maggiore attenzione per lo scavo psicologico dei personaggi. Dopo
il
Saul A. si dedicò a una riflessione sulla funzione del
poeta e del letterato e a un'indagine sulle ragioni della infelicità
umana.
A. affrontò questi temi nei trattati
Della Tirannide
(1777) in due libri, opera poi riveduta nel 1786-1789 e pubblicata nel 1789 e
Del principe e delle lettere scritto fra il 1778 e il 1786 e pubblicato
nel 1789. Le successive esperienze dolorose dell'
A., lo scandalo
suscitato dalla sua relazione con la contessa d'Albany, e il lungo peregrinare
per l'Italia e l'Europa fino al ricongiungimento con la donna amata, dopo il
divorzio dal marito, indussero lo scrittore a nuove forme poetiche. Si
dedicò ancora alla produzione tragica (
Agide, 1784;
Sofonisba, 1784;
Mirra, 1786) ma, soprattutto nella
Mirra,
abbandonò l'esame delle passioni politiche a favore di una maggiore
riflessione sulla tragica condizione. A questo periodo risalgono inoltre i
trattati
Della virtù sconosciuta (1786) e
Panegirico ad
Adriano e la sistemazione delle
Rime (raccolta di sonetti, canzoni,
epigrammi, odi, stanze composte tra il 1776 e il 1779) che costituiscono uno dei
canzonieri più completi del Settecento. Rifugiatosi a Parigi con la
contessa d'Albany esaltò in un primo momento la Rivoluzione nell'ode
A
Parigi sbastigliato (1789); successivamente deluso dagli eccessi della
rivoluzione si trasferì a Firenze dove si dedicò alla composizione
del
Misogallo (1790-98), di alcune satire e di sei commedie (
L'uno, I
pochi, I troppi, L'antidoto, La finestrina, Il divorzio) oltre che alla
redazione della sua autobiografia la
Vita (iniziata a Parigi nel 1790).
Tra le sue opere vanno inoltre ricordate due tragedie pubblicate postume:
Antonio e Cleopatra (scritta nel 1774-75),
Alceste seconda
(scritta nel 1798); una tramelogedia,
Abele (scritta nel 1790); una sorta
di tetralogia politica, articolata in quattro opere dedicate all'esame di
altrettanti regimi istituzionali -
L'una,
I pochi,
I
troppi,
L'antidoto (composte tra il 1801 e il 1802) - dove
A.
pone l'accento sui difetti dell'assolutismo, dell'oligarchia e della demagogia,
affermando in conclusione il primato della Monarchia costituzionale (Asti 1749 -
Firenze 1803).
Vittorio Alfieri ritratto da F.X. Fabre (Firenze, Galleria degli Uffizi)